Convento San Giuseppe, un'oasi in città.

Intervista a Luisa Carcangiu Bayre, co-titolare del Convento San Giuseppe a Cagliari.

L’intervista inizia nella Piazza dell’Accoglienza, sopra un insediamento romano. Incontro una donna innamorata del telaio verticale e appassionata di fotografia che mi descrive ginepri recuperati e aule del 1200, in cui presenziano telai nuragici e oggetti propri della contemporaneità. Con Luisa Carcangiu Bayre ci sediamo sotto un grande albero. Non si respira la solita aria di primavera. L’intervista registrata la riascolto e trascrivendo dall’ufficio mi accompagnano i canti dei merli e degli usignoli del posto.

Il Convento San Giuseppe si trova a Cagliari ed è un bene culturale che conserva all’interno delle sue mura antiche e severe una storia di duemila anni. “Qui è conservato anche un capitello bizantino”, racconta Luisa, “diversi ordini monastici hanno lavorato qua dentro. Il primo insediamento visibile è quello edificato dai benedettini di Marsiglia, a loro si deve l’edificazione delle sale più antiche del convento. All’interno di una di queste c’è una cantina ricavata da uno spazio sotterraneo che noi chiamiamo il Cero di Bacco. L’Ordine degli Scolopi è arrivato nel 1650, da cui viene il nome dell’azienda, Convento San Giuseppe.”

Quarant’anni fa non eravamo consapevoli della responsabilità di gestione di questo luogo, eravamo più presi dalla memoria familiare che dalla memoria storica. Oggi ci rendiamo conto che abbiamo recuperato un bene culturale in cui organizziamo quotidianamente congressi, eventi, matrimoni, laboratori. Inoltre abbiamo 18 orti sinergici, 12 orti didattici che utilizziamo per condividere questa realtà con la cittadinanza, il territorio e i viaggiatori.

“L’azienda vive all’interno”, continua Luisa, “dentro ci sono le macchine e i server più moderni. Stiamo anche provvedendo a informatizzare la cucina e la sala, in modo da organizzare al meglio la comunicazione, quindi con ordini di servizio online. Svolgiamo regolarmente corsi specifici per la formazione professionale di ognuno di noi ma soprattutto della squadra. In inverno siamo una quindicina di persone, in piena stagione invece arriviamo anche a essere 50. Realizziamo inoltre performance a vista che possono raccontare semplicemente con i gesti quello che noi facciamo e che abbiamo re-imparato a fare, come il lievito madre e tutte le paste caratteristiche di tutta la Sardegna, portando qui le pro loco e andando noi in ogni paese.”

Il tempo qui è scandito in maniera diversa, pare che sia un’oasi in città dove il tempo si ferma e si fanno gesti antichi.

“Facciamo tripla produzione: una è rivolta alle aziende, forse è quella che stiamo sviluppando maggiormente perché le stesse imprese hanno capito che è importante trasferire la propria immagine in un palcoscenico così importante, come hanno dimostrato gli eventi di Bulgari e Sky. Una caratteristica forte di questo luogo è che assume l’immagine di quello che ospita perché è talmente solido e sicuro della sua struttura che non ha paura di niente.

Se andremo all’Expò? Al contrario, verrà l’Expò da noi! Il 5 giugno verrà al Convento Davide Oldani, ambasciatore della cucina italiana 2015 per produrre il piatto simbolo che presenterà all’apertura di maggio, con ingredienti sardi. Oldani terrà un workshop per giovani chef e appassionati, mentre in serata ci sarà un cooking contest. Per Sardex, apriamo delle collaborazioni con le aziende enogastronomiche presenti nel circuito perché costringeremo Oldani a utilizzare solo prodotti sardi!

Il Convento San Giuseppe è un recupero di un bene culturale privato. Si avvicendano laboratori di cucina, di tessitura, di ceramica, aperitivi con itinerari sensoriali, eventi di team building con percorsi dalla luce al buio, cene a tema. Molti eventi importanti si sono svolti in questo luogo, come Eurographics 2012. “Quel congresso lo ricordo con piacere perché mentre cucinavano arrostitori, le donne facevano il pane e lo infornavano dentro il forno sardo, maestri di carapigna spiegavano ad ospiti internazionali antiche ricette, un guru cinese del suo settore, sempre serio e professionale, si era avvicinato a me dicendomi che quelle donne gli avevano fatto ricordare di quando a Pechino faceva la pasta con sua mamma. Ecco, io credo che in ognuno di noi ci sia una parte che vuole recuperare le sue radici, che ha un tempo felice che vuole rivivere. E spesso, inaspettatamente, queste cose accadano in quest’oasi. Chissà che non ci innamoriamo un po’ di più, noi sardi, delle bellezze che abbiamo…”

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